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Un uomo sa quando non può più nascondersi dietro la propria inesperienza, quando è importante preoccuparsene o prendere una posizione.
Per molti, non c’è bisogno che qualcun altro debba dirlo; non è necessario rispondere a un appello.
Tutti siamo destinati a decidere cosa è meglio per noi: lo facciamo perché è naturale a un certo punto, dove anche il più cinico e disinteressato non può che piegarsi all’evidenza della fine ultima, senza darsi pace.
È qualcosa di intimo e impalpabile; non spiegabile a coloro che ne chiedono conto: non si può parlare di queste cose con chi è al di fuori di uno stato d’animo, pur avendolo provato un tempo.
Perché succede: è il rinnovamento del giovane, la catarsi dell’adulto.
È stato chiamato in tutte le civiltà, il passaggio alla crescita, in tanta letteratura è narrata come il momento dell’abbandono dell’infanzia, quello delle scelte; in molte tribù è una prova fisica e dolorosa come in tante religioni è una festa, un rito a cui abbandonarsi.
Ma la verità è che non esiste nulla di puro e nulla di meglio nella nostra natura: crediamo ancora a una vita di riscatto motivata dagli atti e giustificata dall’assoluzione.
Non ci sono terre abbastanza lontane dove viaggiare, esperienze che possano cambiarci, non ci sono destini che non si possano avverare, sicuri del nostro successo e del nostro completo fallimento.
E ancora ci affidiamo agli uomini perché non potremmo fare altrimenti e torneremo sempre tutti alla casa del padre ma solo perché non sapremmo dove altro andare.