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Quando in alcune occasioni ci ritroviamo assieme a persone con le quali non abbiamo che una sola cosa in comune – e nemmeno quella, a volte, ci riguarda direttamente – come nel caso di un giro-pizza con genitori di compagni di classe del bambino, un giro-pizza con genitori di compagni di danza della bambina o, tavolata con parenti di parenti a un pranzo di nozze di una parente talmente poco frequentata che si dubita di essere al matrimonio giusto, e altre situazioni irreversibili – a me, ma solo su esplicita richiesta, capita di parlare di cose di cui gli altri non sono minimamente a conoscenza o che danno fortemente l’impressione che, su quei temi, sono certi che non avranno mai nulla da dire per il resto della loro vita.
Viceversa, ascolto l’argomentare di persone che si sono formate un principio formale di cosa sia una conversazione chissà dove o sotto quale regime dittatoriale.
Almeno, questo è il mio primo pensiero su quello che ascolto e non perché solo io pensi di dire cose interessanti; il fatto è che qualcosa mi suggerisce di essere prevenuto e diffidente, perché anche il commensale più bolso, all’apparenza, nasconde uno spirito dialettico degno di Schopenhauer.
Se sono veramente annoiato, la parte migliore di questi incontri è quando, da grande istrione, cerco di inventarmi un argomento nuovo su due piedi, venendo quasi subito riportato velocemente sulla retta via del dialogo ordinario e io, che sono un adoratore del non sequitur da tradizione comica, mi ritrovo a avere a che fare col peggior nemico da “luogo in cui non vorrei proprio stare con questi qua”: l’Ottenimento della Ragione.
L’ODR, è quel tipo di dialogo che parte normale ma diventa prova di sopravvivenza appena il nostro avversario ritiene che sia il momento di soverchiare e ridicolizzare il suo interlocutore davanti al prossimo, contando sul fatto che nessuno si aspetta mai che il proprio prossimo sia così perfido, anche tra coloro che ascoltano.
Per fare un esempio tra i classici, se il nostro tizio, a malapena intravisto a un consiglio di classe di tuo figlio, tre anni prima, e ritenuto, a occhio, un soggetto innocuo, afferma, al tavolo informale di una trattoria per famiglie: «be’ la scuola è ancora importante per la società, tutto sommato» – è un enunciato inattaccabile, forse un po’ poco incisivo, vista l’importanza del tema – e, per me, è come se avesse mostrato il fianco con tatuato sopra “infilzatemi”.
Io bofonchierò – non si merita certo un tono squillante – al tizio: «togliamo pure il “tutto sommato”, è decisamente importante», chiara la velata critica alla sua grossolanità.
Ma quello, invece di crollare stecchito sotto il peso del mio commento, ribatte: «non così importante rispetto allo scempio che ne hanno fatto negli anni della contestazione.»
Il colpo è doppio: da una parte fa credere agli astanti che io abbia capito che stessimo parlando di scuola dell’obbligo dei nostri figli, mentre diviene chiarissimo che il discorso era alto, rivolto all'”Edificio della Scuola”.
Dall’altra suggerisce implicitamente che io approvi la “contestazione” e i genitori di oggi adorano tutto ciò che è criticabile ma odiano tutto ciò che è “contestabile”, loro per primi.
Infine, è come se dicesse: “lei dov’era signore? Anche se ha meno di cinquant’anni, lo sa che c’è stato un sessantotto, l’ordine è stato sovvertito e la promozione regalata a chiunque, minando per sempre le basi della meritocrazia, in questo paese?” e, pur avendo la mia stessa età, egli appare, a tutte le mamme presenti – sia quelle borghesi che non ti hanno mai degnato di un saluto, sia quelle lavoratrici che tutto gli puoi dire tranne dubitare della meritocrazia – un saggio esperto mentre io, un superficiale bifolco e lazzarone.
Dico questa cosa delle mamme perché tutti i papà che hanno, appunto, a che fare con le mamme dei compagni di classe dei propri figli, stilano, nel corso del tempo, una classifica rigidissima su quelle che, in potenza, diciamo così, avrebbero piacere a frequentare anche al di fuori degli orari scolastici; è una fantasia spontanea e innocua e è facile intuire che non ne nascerà mai nulla di più, o che superi, almeno, le scuole dell’obbligo.
Dopo, tutti i papà si augurano che i figli apprezzino lo studio, per poter fantasticare sulle loro compagne di classe ma, questo meriterebbe un capitolo a parte. Voglio dire, insomma, secca sempre essere considerati male anche da gente che non rivedrete mai più e volentieri.
Tutti si aspettano una vostra risposta al tavolo; persino il giro-pizza si è fermato e il cameriere vi guarda con una portata di quattro terrificanti fette, che i commensali di altre pizzerie da giro-pizza hanno rifiutato, come tutti i porti fecero con la St. Louis, la nave dei dannati.
Ecco la sopravvivenza.
Ecco l’ODR, che il vostro avversario non vi permetterà di raggiungere, unita alla mesta considerazione che, alla fine, dopo cinque anni, ce l’hanno fatta a farvi esprimere un’opinione: “potevo starmene zitto” vi viene da pensare e, d’altra parte, avete accettato tacendo qualsiasi diktat, dal comitato dei genitori, fin dal tempo dell’asilo e la scelta di far mettere il grembiulino ai bambini.
Non vi dirò come ne sono uscito perché non è bello vantarsi ma, se mai vi capitasse una situazione del genere, sappiate che avete delle opzioni, forse non degne di Schopenhauer, ma sicuramente, meno ragionate.
La “ribalda con intonazione” alla Gassman: «Ah! la contestazione! Certo, caro, certo! Adesso torna pure a dormire!».
L'”incomprensione volontaria” alla Dapporto: «Ma che scempiaggini?! Constatazione?! Io in quegli anni non guidavo di certo, signorina!».
L'”involuzione inversa” alla Groucho Marx: «Lei ha perfettamente ragione, infatti, caro signore, lo scempio non è mai rispettato, ancorché contestato. Che anni, erano quelli!»
Avrei potuto andare avanti così tutta la sera.