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Nel post sulla “nostalgia” di settimana scorsa, concludevo che, poiché gli oggetti che l’uomo produce hanno uno stretto legame, persino affettivo, con la sua Storia, in special modo la televisione è già diventata oggi solo un soggetto tra i tanti ad aver la funzione per la quale è stata inventata e, forse, diventerà domani argomento di nostalgie di una generazione che scomparirà portandosela dietro.
La qual cosa, per esempio, che sta accadendo col telefono “da mobiletto” – fate la prova raccontando ai bambini di quando serviva un gettone per chiamare da una cabina: vorranno che non andiate più a prenderli fuori da scuola.
Niente di nuovo e niente di strano: ci sono un sacco di studiosi che di mestiere ricercano il passato delle cose anche in relazione a quello che servivano e, sicuramente, tutti abbiamo ereditato almeno un oggetto di cui non conosciamo esattamente l’uso o che stiamo usando affatto per quello che serviva quando è stato pensato; però adesso sta lì e guai a buttarlo via.
Fa comunque un certo effetto essere presenti – nello stesso tempo in cui anche noi lo siamo – quando questo avvicendamento accade e l’unica consolazione, se possiamo chiamarla così, è sapere che non passa giorno senza che qualcosa non ceda il passo a qualcos’altro e magari neanche ce ne accorgiamo: in informatica bisogna buttar via tutto ogni sei mesi, per dire.
Scrivevo che, unico tra gli elettrodomestici, il televisore, ancor prima che ci si dimentichi a cosa serva, già oggi potremmo non provare più niente per quello che fa: diffondere la cultura, l’informazione, persino il divertimento.
Perché, se è vero che la nostra Storia quotidiana è fatta di codesti elementi, è anche vero che fino a ieri li abbiamo vissuti tutti insieme, tutti allo stesso tempo, tutti nello stesso posto, tutti stando anche nelle stesse posizioni.
Certo che la Storia non è solo quella scritta sui libri, esiste anche quella minima, che ci riguarda da vicino e che costituirà, appunto, la “nostalgia di massa”, con una parte ben definita: servirà a dare una identità, a riconoscersi e a ricordarsi, sentirsi parte di una esperienza comune o fare dei distinguo e delle eccezioni.
Ciò che oggi possiamo provare individualmente di fronte a un avvenimento, è probabile non produrrà domani una catarsi a livello sociale ovvero, non ricordi condivisi allo stesso modo, nessuna esperienza o emozione “unica” ma una miriade di informazioni – o storie – gestite come più ci fu gradito o, anche, “non” avvenimenti ma un sacco di opinioni e di giudizi rilasciati in coda a fatti di cui saremo noi a decidere l’importanza o il valore.
Settimana scorsa immaginavo fossimo alla fine della “nostalgia di massa”, passata per quei canali che sono sempre serviti a raccontarcela in scalette ordinate, a orari prestabiliti, nel salotto buono oppure, attorno al tavolo della cena e, qui mi è venuto il dubbio per il quale mi è piaciuto riprendere questo discorso: e se questa “nostalgia” avesse termine non solo per quello che sappiamo o ricordiamo – quindi per quello che siamo – ma pure per quello che facciamo?